Nel vasto universo della musica classica, dove la bellezza del suono dovrebbe unire le anime, esistono due mondi opposti che si muovono sotto la superficie. Prendiamo a esempio due circuiti flautistici immaginari, completamente inventati, chiamati Circuito Armonico e Circuito Dorato. Ogni riferimento a persone o fatti reali è da considerarsi puramente casuale.
Il Circuito Armonico: quando il flauto è voce d’anima
Nel Circuito Armonico, la musica è un linguaggio comune, una missione condivisa. I flautisti che vi fanno parte non competono per il podio, ma per il suono più autentico, la frase più sentita, l’interpretazione più sincera. Questo ambiente è caratterizzato da:
Collaborazione e apertura: I musicisti si scambiano consigli, si ascoltano con rispetto, organizzano masterclass gratuite o a contributo simbolico, dove anche gli studenti vengono trattati come colleghi in divenire.
Riconoscimento del valore artistico: Non conta il curriculum, ma ciò che si riesce a comunicare attraverso il flauto. Non esistono “cerchi magici” in cui
entrare, solo musica da condividere.
Valorizzazione del talento emergente: I giovani flautisti vengono accolti con entusiasmo, spronati a trovare la propria voce e non a replicare quella dei maestri. L’insegnamento è circolare: anche un principiante può offrire una nuova prospettiva.
In questo circuito, i concorsi sono eventi di festa e crescita, non trincee. Le giurie sono eterogenee, trasparenti, spesso composte da esecutori, didatti e persino musicisti di altri strumenti, per evitare autoreferenzialità.
Il Circuito Dorato: la lobby del suono esclusivo
Nel Circuito Dorato, invece, la musica è divenuta merce e strumento di potere. Il flauto, in questo contesto, è spesso un pretesto per rafforzare dinamiche di influenza. Questo ambiente si contraddistingue per:
Esclusività e autoreferenzialità: Esistono pochi nomi, sempre gli stessi, che ruotano tra giurie, cattedre e festival. Chi è fuori da questo cerchio trova porte chiuse, anche con un curriculum eccellente.
Competizione mascherata da eccellenza: L’apparente ricerca dell’“alto livello” si traduce in una continua gara per accaparrarsi visibilità, incarichi e allievi. La musica viene valutata secondo parametri spesso legati alla fedeltà a uno stile o a una scuola, più che alla sincerità interpretativa.
Creazione di “linee di sangue artistico”: Alcuni insegnanti favoriscono esclusivamente gli allievi della propria “discendenza musicale”, generando un sistema chiuso, simile a un’aristocrazia musicale.
In questo circuito, i concorsi diventano veri e propri snodi di potere. Le giurie, spesso composte dagli stessi protagonisti, decidono chi far emergere e chi ignorare. Chi osa staccarsi dal modello dominante viene, più o meno elegantemente, allontanato.
Due modelli, una scelta
Questi due circuiti, puramente immaginari, rappresentano due vie. Una è quella della condivisione e dell’ascolto, l’altra quella del controllo e della selezione. Entrambe producono musica, ma solo una delle due produce comunità.
In fondo, il flauto – strumento tra i più antichi, vicino al respiro umano – merita di essere un ponte, non un bastione. Chi suona con sincerità, chi insegna con umiltà, chi ascolta con attenzione, fa parte di quella comunità invisibile che non ha bisogno di lobbies per esistere.
Perché l’arte vera, quella che commuove, scardina e libera, non ha bisogno di circuiti chiusi: vive dove c’è amore, passione, e silenzio che precede il suono.
